L’istanza di rateizzazione presentata all’Agente della Riscossione non costituisce un atto di riconoscimento da parte del contribuente d’essere tenuto al pagamento della pretesa tributaria azionata dall’Amministrazione finanziaria né, tantomeno, costituisce acquiescenza in quanto il contribuente può sempre contestare la pretesa salvo che non siano decorsi i termini di impugnazione.

Sono i principi ribaditi dalla Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza Num 14945 pubblicata l’8 giugno 2018.

Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte, sotto altro profilo, precisa inoltre che l’istanza di rateazione presentata dal contribuente non è un atto idoneo ad interrompere i termini prescrizionali.

In particolare nell’Ordinanza richiamata è precisato: <<La domanda di rateizzazione del debito, non costituendo un atto di riconoscimento del credito vantato dalla società di riscossione, non risulta atto idoneo ad interrompere la prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c. (Cass. n. 7820 del 2017, Cass. n. 3347 del 2017). Costituisce principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domanda di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, quando non siano espressione di una chiara rinunzia al diritto di contestare, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario. Ne consegue che la domanda di rateizzazione non costituisce acquiescenza (Cass. n. 2463 del 1975; Cass. n. 3347 del 2017).>>