Con l’Ordinanza 17226/2018 depositata il 2 luglio 2018, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui, in tema di imposta di registro, l’avviso di rettifica e liquidazione emesso con riferimento al valore di beni immobili, se determinato sulla base della comparazione con beni simili deve ritenersi adeguatamente motivato solo ove contenga la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto utilizzato per la comparazione o lo stesso sia allegato all’atto impositivo.

L’ordinanza – assunta con motivazione semplificata secondo quanto prescritto dall’art. 380 del c.p.c. -, torna, dunque, a pronunciarsi sull’obbligo di allegazione dei cosiddetti “atti parametro” assunti a base di avvisi di rettifica e liquidazione ai fini dell’imposta di registro.

Sul punto la Corte di Cassazione si era già espressa con la sentenza n. 11967 del 28/05/2014 con con cui si era consolidata un’interpretazione ampia dell’obbligo di allegazione prescritto dall’art. 52 del DPR 131/1986 che aveva portato i Giudici di legittimità a dichiarare la nullità dell’atto impositivo motivato sulla base di perizia UTE che a sua volta faceva riferimento a degli atti di compravendita non allegati né all’avviso di rettifica e liquidazione né alla perizia UTE.

La Suprema Corte ha dunque sancito che i cosiddetti atti-parametro devono essere allegati all’atto impositivo o ne deve essere riportato il contenuto essenziale, così da consentire al contribuente di esercitare adeguatamente il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito. In difetto l’atto impositivo è nullo, così come disposto dall’art. 52 del DPR 131/86,  ed è pertanto del tutto irrilevante il successivo deposito nel corso del giudizio tributario.

Il recente pronunciamento della Suprema Corte consente di tornare a riflettere sulla delicata distinzione tra motivazione dell’atto impositivo e prova della fondatezza della pretesa impositiva e sulle diverse declinazioni che tali concetti assumono nella disciplina delle varie imposte.

È noto che le prove a sostegno della pretesa tributaria non devono necessariamente essere indicate nell’avviso di accertamento in quanto l’onere di provare la fondatezza della pretesa impositiva può essere assolto dall’Ufficio finanziario anche nel corso del giudizio.

Motivazione e prova hanno, infatti, natura e funzione diverse. La motivazione indica le ragioni poste a fondamento della pretesa erariale e l’iter logico giuridico seguito dall’ufficio, cosicché il contribuente possa esercitare, in riferimento a tale iter, il suo diritto di difesa. Non per niente il difetto di motivazione di un atto emesso dall’amministrazione finanziaria rende nullo l’atto medesimo e di conseguenza non si pone nemmeno il problema di fornire la prova contraria.

La valutazione della prova assume rilevanza, dunque, solo quando non vi siano vizi che rendono l’atto nullo ab origine e consiste nella dimostrazione della fondatezza della pretesa impositiva sulla base dei documenti e delle presunzioni utilizzate in sede accertativa dall’ufficio.

Premesso quanto sopra, si evidenzia, tuttavia, che nel caso di avviso di rettifica ai fini dell’imposta di registro, la disciplina tributaria è diversa, imponendo contemporaneamente l’obbligo sia della motivazione, sia dell’indicazione delle prove.

Ed infatti l’art. 56, comma 2, D.P.R.. 26 ottobre 1972, n. 633, che “negli avvisi relativi alle rettifiche di cui all’art. 54 devono essere indicati specificatamente, a pena di nullità, gli errori, le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica ed i relativi documenti probatori. Per le omissioni e le inesattezze desunte in via presuntiva devono essere indicati fatti certi che danno fondamento alla presunzione”.